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Cassazione: montare un silenziatore non è sempre alterazione

Aggiornamento: 1 giu

In tema di silenziatori per armi da sparo, è opinione diffusa che anche qualora un silenziatore sia detenuto legalmente ne rimanga in ogni caso vietato l'utilizzo perché montare un silenziatore su di un'arma comune da sparo costituirebbe alterazione della stessa.


Nonostante una giurisprudenza decisamente controversa in tema di parti di armi, in cui la Cassazione si ostina a considerare parti soggette a controllo ogni componente e minuteria ed ogni accessorio che renda più agevole il porto o l'uso dell'arma (argomento che merita uno specifico approfondimento), esiste però una giurisprudenza tanto interessante quanto sconosciuta che riguarda l'utilizzo di questi accessori su armi comuni da sparo.


Una carabina AR-15 con silenziatore
Una carabina AR-15 con silenziatore

Il riferimento è alla sentenza 19076/2023 della I sezione penale della Cassazione, che, pur riferendosi ad un fucile modificato tramite l'apposizione di una "staffa", in un passaggio si occupa proprio dell'uso dei silenziatori chiarendo che non si tratta sempre di illecito:


E' stato affermato e viene qui condiviso che «l'alterazione delle caratteristiche meccaniche dell'arma (ossia di quelle che attengono al suo concreto funzionamento) possa avvenire, con la conseguente integrazione della fattispecie incriminatrice, nel pieno rispetto del principio di offensività ("in qualsiasi modo" stabilendo la disposizione), anche mediante modificazioni reversibili, ma pur sempre effettive, se e in quanto esse abbiano concretamente conseguito uno degli obbiettivi che l'ordinamento ha inteso espressamente scongiurare (l'aumento di potenzialità di offesa o l'accentuata agevolezza del porto, dell'uso o dell'occultamento)» [...]. Nel caso di specie, l'apposizione della staffa, è stata correttamente ritenuta non integrante la modificazione o l'alterazione penalmente rilevanti in ragione del fatto che essa si è sostanziata nell'aggiunta di un elemento esterno non idoneo ad alterare l'aspetto funzionale effettivo dell'arma, diversamente da quanto accade nel caso dell'apposizione di un silenziatore. Peraltro, anche quest'ultima, è stata ritenuta condotta da valutare nel contesto in cui tale condotta è stata posta in essere, tenuto conto del fatto che, proprio per il generale principio di offensività, occorre esaminare la condotta in relazione alla sua concreta possibilità di recare pregiudizio al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. E' stato precisato, infatti, che «il concetto di maggiorata offensività non deve identificarsi soltanto con un aumento della potenza e della precisione dell'arma, bensì deve ritenersi riferibile anche a quelle situazioni di potenziale impiego nelle quali la disponibilità di un'arma silenziata costituisce un obiettivo incentivo all'adozione di comportamenti antigiuridici [...].

La sentenza citata (a sua volta basata su Cass. I 8351/2022, Cass. VII 33331/2019 (ordinanza), Cass. I 23348/2017, Cass. I 3127/2011, Cass. I 8639/2008 e Cass. I 5381/1997) chiarisce quindi un concetto fondamentale: non è la sola modifica meccanica o dimensionale a costituire il reato di alterazione di armi ma anche il contesto in cui le armi modificate sono rinvenute ed utilizzate. Particolare, ma utile e chiarissimo, il paragone con l'uso di un'arma silenziata. Conclude poi sul punto la sentenza:


E' pertanto esente da vizi anche la seconda parte della motivazione della sentenza che, nel ritenere la mancanza del requisito dell'offensività in concreto della condotta, ha operato in termini ineccepibili avendo considerato che, in effetti, la staffa era stata apposta su un fucile da caccia rinvenuto nella disponibilità dell'imputato in un contesto del tutto lecito quale quello dell'esercizio dell'attività venatoria, non desumendosi da alcun elemento la possibilità di formulare, alla luce delle modalità della condotta, un giudizio probabilistico di uso dell'arma per finalità diverse.

La valutazione sopra riportata deve quindi essere confrontata con la giurisprudenza dominante in materia di silenziatori, imponendone una rilettura alla luce dei principi chiariti. Non sfugge infatti che ogni singola sentenza di condanna per l'uso di armi silenziate è riferita a contesti criminali o a silenziatori detenuti illegalmente, non potendosi documentare alcuna condanna per l'uso di silenziatori detenuti legalmente ed in contesti consentiti, quale ad esempio quello sportivo.


La conclusione è chiarissima: non è la presenza di un silenziatore in sé a determinare il reato di alterazione di arma, ma anche il contesto in cui l'arma è detenuta/portata/utilizzata. Di conseguenza in ogni contesto legittimo il montaggio e l'uso di silenziatori (legalmente detenuti) su armi comuni da sparo deve ritenersi pacificamente legittimo al pari di qualsiasi altro accessorio o parte di arma.

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